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Crisi Hong Kong-Pechino, la Cina pone la città autonoma sotto “legge di sicurezza”

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Torna instabile la condizione di Hong Kong, ex colonia britannica dal 1997 parte della Repubblica Popolare di Cina (assieme alla portoghese Macao due anni dopo), che rischia di perdere le proprie garanzie d’autonomia, dopo aver goduto sin da allora di uno speciale status amministrativo che le ha conferito una sorta di indipendenza, con rappresentanza internazionale (anche sportiva con proprie formazioni nazionali) e autonomia politica, legislativa (basata sul common law inglese e non sul sistema cinese) ed economica, grazie alla presenza della Borsa Hang Seng (la quale oggi ha chiuso in negativo).

Un’autonomia con una scadenza fissata sui cinquant’anni, ovvero teoricamente per il 2047. Tuttavia a cominciare dal 2019 si sono ripetute intense proteste contro il governo di Pechino, a seguito di alcune proposte legislative avanzare dalla “madrepatria”, presunte violazioni da parte della polizia e una rappresentanza politica non garantita, come già richiesto nel 2014.

Ad oltre un anno dall’inizio delle proteste, 600 arresti tra domenica scorsa e mercoledì, con le tensioni tra la Cina e gli Stati Uniti, il ramo legislativo del Parlamento cinese ovvero il Congresso nazionale del popolo, ha deciso con 2.878 voti favorevoli, 6 astenuti e un contrario di adottare la “legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong”, che di fatto sospende l’autonomia e destinata a punire ogni tentativo di secessione e, secondo Pechino, sovversione del potere statale, terrorismo e atti che mettano a rischio la sicurezza nazionale. Del testo, tuttavia, attualmente non è stata resa copia, in attesa che il Comitato permanente del Congresso passi alla sua applicazione, senza interpellare il parlamento autonomo hongkonghese.

Il primo ministro Li Keqiang ha affermato che la legge approvata poterà «la stabilità e la prosperità di lungo termine» per la «stabile attuazione» del modello “un Paese, due sistemi”. Nel mentre è stato approvato il primo Codice civile della RPC.

Le Nazioni Unite hanno convocato una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza (di cui la Cina fa parte), ma la richiesta è stata rifiutata dall’ambasciatore cinese all’Onu, Zhang Jun, in quanto si tratta di affari interni al paese. Gli Stati Uniti hanno criticato la mossa, ma lo stesso segretario di Stato Mike Pompeo ha affermato in una nota che Hong Kong non è più autonoma dalla Cina, ma così facendo ha disconosciuto lo status speciale della città nei suoi rapporti con gli Stati Uniti, finendo per isolarla ulteriormente. Resta ancora poco chiara la posizione dell’Unione Europea e del Regno Unito.

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